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Mario De Biasi mostra "Edizione Straordinaria"

Mario De Biasi: la Milano che eravamo (e non lo sapevamo)

Mario De Biasi, uno strano milanese che ci ha raccontato la Milano più bella di tutte. Quella che siamo stati, a volte senza saperlo. E quella che avremmo voluto essere. La mostra: “Edizione Straordinaria”

Cosa significa essere Milanesi? Per me, che sono nato apolide, e per molti altri che sono nati e cresciuti in questa città, portandosi dietro un caleidoscopio di origini e di identità spesso lontane, e ancora più spesso frullate in un miscuglio dai risultati imprevedibili, Milano è stata la nostra unica, ma certissima, identità. 

Mario De Biasi mostra "Edizione Straordinaria"
Mario De Biasi a Milano – Boomerissimo.it

Che fossimo italiani non era così sicuro (anche quando tutti i pezzi del puzzle venivano da dentro la Penisola): probabilmente eravamo foggiani, romani, friulani o piemontesi prima che italiani. Ma che fossimo milanesi era un fatto certo. Quella città distratta, che se ne fregava di chi eri e da dove venivi, che ti metteva tra i banchi pensando sempre a domani, non lo sapevamo ancora ma era meravigliosa. 

Parte di questa Milano ottimista e immaginifica era il mobile delle riviste di casa mia. Un oggetto plasticoso di design in puro stile anni ‘70, sotto al televisore Brionvega dal quale si guardava il mondo con un certo stile UFO SHADO. Avendo un padre che lavorava in Mondadori, eravamo abbonati a tutto a prezzo di favore. A un certo punto della mia vita, dopo aver divorato i Topolini di ogni foggia e formato, dagli opuscoletti ai libroni cartonati, passai a interessarmi di quello che stava là, nell’insalata delle riviste che mia mamma cercava di tenere in ordine con successo moderato.

La Stazione di Porta Genova nel 1965 – Boomerissimo.it

Le leggevo tutte, compresi i femminili e quelle dedicate alla coppia (che trattavano problemi a me del tutto ignoti). Ma ce n’era una che strappavo dal cellophane appena appariva nella casella. Aveva ancora un formato importante, più grosso di quello che Espresso e Panorama avrebbero imposto successivamente; aveva sempre una foto bellissima in copertina, generalmente in bianco e nero (e tanti saluti a quello che il marketing editoriale ci ha insegnato dopo), e foto ancora più belle all’interno. In grande formato. Gli articoli erano di un livello che, senza fare il brontolone del Muppet Show, temo si sia del tutto perso. Ma quello che importava davvero erano le foto. Non sapevo ancora che leggendo Epoca mi stavo interessando di fotografia, non sapevo nemmeno che stavo conoscendo Mario De Biasi, ma in effetti era proprio così.

Mario De Biasi, Milano come noi

Negli anni ‘70 inoltrati, quando lo conobbi senza sapere che era lui, De Biasi ci portava il mondo nel suo favoloso bianconero. Era un fotografo asciutto, senza autocompiacimento. Non giocava con la macchina, non faceva foto “carine”, studiate.

Mario De Biasi mostra "Edizione Straordinaria"
Mario De Biasi e i suoi strani punti di vista – Boomerissimo.it

Ti portava il mondo inquadrandolo con mano ferma e sicura, il taglio grafico, i punti di vista sorprendenti. Ogni immagine era un pugno sul naso e un’invenzione, come le copertine di mio padre. Nessuna sembrava pretendere di essere “arte”. Era una fotografia. Era comunicazione, era arte applicata (avrei imparato a conoscere questo concetto solo in seguito, ma le immagini lo illustravano benissimo). Serviva a raccontare cose, a fare girare le rotative. Supponeva che l’interlocutore avesse occhi e cervello, curiosità e gusto. E se non li aveva ancora, aveva interesse a svilupparli, anche guardando quelle fotografie. E pagando il giornale su cui erano stampate. Cerco di scrivere queste cose senza nessun accento nostalgico, Resta il fatto che ricostruire queste relazioni tra le cose, che cinquant’anni fa erano normali, potrebbe essere il programma di una rivoluzione culturale vera, che cambia il mondo, stavolta senza ammazzare nessuno. Non sono così utopista da credere che succederà.

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Mario De Biasi era un milanese come noi, ovvero uno che con Milano non c’entrava niente ma che aveva trovato in questa città il luogo dove realizzare il suo miracolo, diventare fotografo. Fare un mestiere, a partire da quel sogno che aveva sviluppato leggendo un opuscoletto tecnico molto tedesco, in tedesco, in un campo di prigionia tedesco. Probabilmente proprio gli aspetti tecnici avevano affascinato quel giovane elettrotecnico, all’inizio. Ma nel 1953 De Biasi era arrivato dal Friuli e cominciava già a lavorare per Epoca. Nel 1956 raccontava la rivoluzione ungherese, in uno dei reportage più belli che siano mai stati fatti di quei fatti (quelli che permisero a mio padre di riparare in Italia, e di trovare a Milano la sua città del miracolo). Vent’anni dopo raccontava a me tutto il mondo. Non sapevo nulla del suo amore per Milano. Né conoscevo ancora il mio. Ma quello che stavo vivendo, e avrei vissuto ancora per molto tempo, De Biasi lo aveva già raccontato.

La mostra di Mario De Biasi: “Edizione Straordinaria”

Percorrere le sale della mostra dedicata a Mario De Biasi nel centenario della sua nascita, ospitata al Museo Diocesano di Milano, organizzata con il contributo degli archivi Mondadori e di Epoca è stato come ripercorrere la mia vita in questa città da bambino, da ragazzo, da giovane. 

Innamorati ai Giardini di Porta Venezia – Boomerissimo.it

Molte di queste immagini le avevo viste, una a una, anno dopo anno. Quasi tutte sono state scattate prima che io nascessi, penso in quella stagione in cui De Biasi lavorava alla redazione milanese di Epoca, ma era un po’ meno impegnato a girare il mondo e a raccontarcelo. È una mostra biografia, e anche un’autobiografia per chi come me è cresciuto in una certa città, con certi tram, certe chiatte piene di sabbia. Con le macchinine a pedali dei giardini di Porta Venezia (oggi Indro Montanelli), dove papà mi portava da bambino. 

Ci sono la galleria Vittorio Emanuele, il centro del nostro mondo. Ci sono i Portici di Piazza del Duomo e del Corso, con i negozi per cui abbiamo passeggiato mille volte, e il brulicare di altri passeggiatori come noi; la piazza della Stazione; la Scaletta dei Navigli di cui ho ricordi indelebili molto più recenti. E persino l’Ippodromo di San Siro, dove ci siamo affollati, stancati, a volte bagnati, dove abbiamo calcolato, ragionato, sperato, esultato. O più spesso ci siamo incazzati. 

È la mia Milano e sono io, solo con un paio di decenni di anticipo. E non c’è nessun folklore, nessuna nostalgia. È una Milano vera e viva, fresca, raccontata da un occhio sveglio, grafico. Attuale allora, come è attuale oggi. Certo, ci sembra anche un po’ migliore, ma non era questa l’intenzione con cui De Biasi la raccontò. Semplicemente le cose sono andate così. Magari anche la Milano di oggi avrà per i ragazzi di domani la stessa energia e vitalità che quella degli anni ‘50 e ‘60 ha avuto per noi. Io glielo auguro. 

Mario De Biasi: il fotografo che non ero (ma questo lo sapevo)

Per me, che con la fotografia ho bazzicato parecchio, e a lungo, e con la grafica ho avuto rapporti sia familiari che professionali, una mostra di fotografia e le sue grandi stampe in bianconero sono sempre un respiro di aria meravigliosa. 

Mario De Biasi mostra "Edizione Straordinaria"
Mario De Biasi, il provino – Boomerissimo.it

Nel modo in cui le immagini sono inquadrate, stampate. Nel tempo di uno scatto, rivivo le mie fatiche (assai meno fruttuose). In un certo senso ho amato fotografare anche per capire meglio l’abilità di quelli bravi per davvero. Ma più ancora delle fotografie, meravigliose, il vero dono della mostra di Di Biasi sono le pagine e pagine e pagine di provini

Per capire un artista devi guardare i suoi quaderni di appunti e di scarabocchi, gli studi più e meno riusciti. Per capire un fotografo come Di Biasi e la sicurezza con cui impugnava una macchina e ritagliava il mondo a quadretti, fino ad arrivare all’immagine giusta, devi guardare i suoi provini. Quello che colpisce più di tutti è quello da cui è tratta la sua immagine forse più famosa: Moira Orfei di spalle, che cammina in Piazza del Duomo, magnetizzando lo sguardo di chiunque si trovi lì, a portata di sguardo. 

La storica foto di Moira Orfei del 1954 – Boomerissimo.it

Per chi è abituato alla fotografia digitale, dove scattare non costa nulla e si clicca, si clicca, per poi scegliere dopo (o più facilmente perdersi e dimenticare un diluvio di scatti inutili), quel provino di Di Biasi è un prodigio. O forse lo è ancora di più per gente come me, che di provini in camera oscura ne ha accumulati metri cubi, e che ha consumato chilometri di costosissima pellicola per arrivare a pochi scatti quasi presentabili. 

In quel provino di Di Biasi, che probabilmente fissa su carta fotografica almeno un paio d’ore di set ci sono una manciata di scatti, nessuno uguale all’altro. Nessuno scattato nella speranza che sia la fortuna a cogliere l’attimo giusto del movimento. Nessuna foto “sbagliata”. Clic, e una. Cambio situazione: clic, un’altra. È come una fila di scene tutte buone alla prima. E in una decina di scatti, non molti di più, non molti di meno, ci sono tre fotografie memorabili e una che è diventata “la foto” di Di Biasi. 

Milano, il pattinaggio sul ghiaccio – Boomerissimo.it

Ho visto dipingere mio padre. In quel provino ho visto fotografare Mario De Biasi. Mi manca di aver sentito provare Sonny Rollins o Charlie Parker. Ma ho ben chiaro cosa succede quando un talento smisurato si sposa con una cultura immensa della materia e la fatica di una preparazione da atleta: ginnica, minuziosa. Così ossessiva che al momento giusto sei in grado di dimenticare tutto, e fare semplicemente la cosa giusta, la migliore possibile.  Geni si nasce, e si diventa. Nessuna delle due cose basta da sola.

Quella Milano magica, che racconta me stesso con esattezza debiasiana, De Biasi l’ha lasciata sullo sfondo o quasi, per parecchio, impegnato e riquadrare nei suoi rettangolini d’argento le giungle del Congo, le nevi del Kilimangiaro, New York e quant’altro.

Ci è tornato molto tempo dopo, quando la sua carriera di reporter era già alle spalle ma la passione per la fotografia e la sua Milano, no. È così che l’ho conosciuto per nome per la prima volta, da adulto, sapendo che era lui, nelle vetrine di una libreria, con i suoi volumi, stavolta a colori, su Milano e i suoi luoghi. Mi ricordo quello che mi colpì di più, uno dei suoi ultimi. Un ritratto affettuoso e quasi didascalico dentro la Milano più bella, quella che nessuno (tranne lui) riuscirà mai a vedere tutta e dal vivo. la Milano nascosta dei cortili privati. Spazi fastosi, ampi, lussureggianti, minuziosamente decorati e arredati, ma invisibili se non a lui e a chi sfoglia il suo ultimo libro. 

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È un ripasso, un ultimo sguardo a qualcosa di amatissimo, da parte di un De Biasi ormai ottantenne. Forse oggi De Biasi continua a guardare la sua Milano, quella strana città così sua, ma in cui non era nato. Adesso la guarda dall’alto, che in fin dei conti era uno dei suoi punti di vista preferiti.

Antonio Pintér – Copyright Boomerissimo.it

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