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Wayne Shorter playlist

Wayne Shorter, il più focoso è nella playlist di Boomerissimo

Ci sono tanti Wayne Shorter, tutti meravigliosi. Con questa playlist vi invitiamo a scoprire il nostro. Cioè (almeno per noi) il migliore.

Wayne Shorter è una di quelle figure che sono state capaci di andare oltre il ristretto mondo degli appassionati di jazz. Da Art Blakey a Pino Daniele, la sua ombra titanica si proietta su una varietà di stili e di generi che ne hanno fatto un genio totale, senza confini.

Wayne Shorter playlist
Wayne Shorter – Boomerissimo.it

Ognuno ha il diritto di averne uno nel cuore, e noi di Boomerissimo non facciamo eccezione. A pochi mesi dalla sua scomparsa vi presentiamo il “nostro” Wayne Shorter, forse un po’ diverso da quello che tutti o quasi conoscono. Se vi fidate di noi, conoscerete qualcosa di un po’ meno frequentato ma che vale assolutamente la pena di ascoltare. Magari.

Wayne Shorter, un maestro di coolness dal cuore fiammeggiante

C’è stato un tempo in cui eravamo poveri. Anche per chi non lo era, l’acquisto di quella meravigliosa cosa che erano i dischi a 33 giri finiva per risucchiare velocemente le misere finanze di adolescenti. Non è sempre stato tempo di spotify e di youtube, di jazz alla radio non passava quasi niente e conoscere costava. 

Wayne Shorter e alcuni dei suoi dischi più fiammeggianti – Boomerissimo.it

Fu così, sfogliando l’immane riserva di LP che le Messaggerie Musicali di Milano ti offrivano con abbondanza provocatoria e umiliante, e contando le poche banconote e forse pure le monetine che avevo in tasca, che decisi di investire in uno dei modi migliori in cui i miei soldi siano mai stati impiegati. Uno di quei doppi LP che riunivano due singoli imperdibili, e te li facevano pagare meno. Sul fronte c’era la faccia sudata e trasfigurata di Art Blakey in piena trance creativa. Ma io che il sax tenore lo suonavo (con poco profitto) e soprattutto leggevo Musica Jazz da una copertina all’altra, sapevo che dentro quel doppio già promettente c’era il tesoro a cui davo la caccia: il Wayne Shorter dei Jazz Messengers. Quello dei Weather Report lo conoscevo bene dai dischi di qualche amico mezzo rocker (ho avuto pure quelli). Ma sapevo che si poteva avere di più (e secondo me di meglio) andando alle origini della discografia di quel mostro, che già faceva paura così.

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Ero un talebano, e il jazz mi piaceva in purezza. Senza roba elettrica intorno (che allora era quasi nuova, e questo per me era semmai un’aggravante). 

Wayne Shorter in concerto – Boomerissimo.it

Dopo avere consumato quei dischi e averli anche ricomprati in singolo, sia in LP che in CD, resto convinto che tra tutti i Wayne Shorter che si possono ascoltare, da leader, da sideman, jazzista, elettrico e quant’altro, il giovane Wayne Shorter che scosse da cima a fondo i Jazz Messengers di Art Blakey e ne diventò il direttore musicale, sia il più grande Wayne Shorter che ci sia stato.

Aveva la sua classica complessità visionaria. E una specie di centrale atomica in più. La alimentava la furia di Art Blakey il grande batterista senza sbarre di grafite, che non ha mai temuto la fusione del nocciolo.

Wayne Shorter playlist
Miles Smiles, un grande disco del “secondo quintetto” che però qui non ha trovato spazio, sorry – Instagram @vintagevinyldaily – Boomerissimo

Quantomeno, questo è il Wayne Shorter che piace di più a me, e che ritroverete nella playlist di Boomerissimo in dosi decisamente più che proporzionali, senza tuttavia ignorare quell’altro Wayne Shorter, che quasi contemporaneamente debuttava come leader in dischi Blue Note che sono rimasti immortali. Né quello che Miles Davis chiamò a rinnovare il suo quintetto. 

10 brani per scoprire lo Wayne Shorter atomico

Senza porre altre chiacchiere in mezzo passiamo al sodo. Sono abbastanza convinto che alla fine di questo viaggio ringrazierete il vostro modesto deejay per l’esperienza.

Sincerely Diana (1960)

Uno dei dischi da cui nasce l’Hard Bop, con un titolo che è già un programma: un classico di Gillespie che viene semplificato, energizzato, reso quasi brutale.

Sincerely Diana

In questo disco Blakey mostra in pieno il suo programma di talent scout e coach di geni ancora non pienamente espressi, che nei Jazz Messengers prenderanno forza, sicurezza, luce, spazio per esprimersi e diventare uno dopo l’altro star. Il più notevole di tutti è ovviamente Wayne Shorter, che compone questo brano cangiante e trascinante e poi lo travolge da solista, con quella voce di sax tenore che è così tipicamente solo sua: piena e nasale allo stesso tempo. Che dire, una partenza di playlist lanciata…

Tell It Like It Is (1961)

E’ un brano che fa eco al Soul Jazz e che sa di sabba, o quantomeno di preghiera.

Poderoso, ossessivo, squarciato da un assolo di Shorter che geme e che urla con un’ energia che potrebbe essere quasi free. Ma ovviamente non lo è (Shorter se ne terrà sempre a distanza siderale).

Ugetsu (1964)

Ugetsu era uno dei due dischi che trovai in quel famoso doppio special price.

Un disco dal vivo che il gruppo di Blakey registrò al Birdland, dopo la conclusione della tournee giapponese.

È pieno di pezzi di sapore nipponico, che lasciano immaginare quel viaggio come qualcosa che segnò profondamente la band, o quantomeno la divertì in modo fuori dal comune. Il brano è di Cedar Walton, il primo assolo di Freddie Hubbard che si impegna notevolmente e con profitto. Solo che poi arriva Shorter a spazzare via tutto, di nuovo con quel suo suono nasale che rende le sciabolate ancora più impressionanti. Sullo sfondo (ma fino a un certo punto), Art Blakey fa marciare il tutto con inesorabilità letale.

JuJu (1963)

Mentre il giovane Wayne cambia la faccia dei Jazz Messengers e ne diventa direttore musicale, comincia anche le sue esperienze da leader.

Sinceramente, non è facile scegliere il disco migliore. A me piace (ancora) più della media questa JuJu dall’omonimo disco Blue Note. Una musica giocosamente visionaria, piena di sorprese e di idee, per cui Shorter usa l’intera sezione ritmica di John Coltrane. La cosa, ai tempi, lo espose alla critica demenziale di essere una copia di Trane. A dimostrazione del fatto che i critici di jazz (e non solo) delle volte dovrebbero fare meno conticini, leggere meno note di copertina, ricamare meno pensierini astratti. E ascoltare.

E.S.P. (1965)

Leggere le date dà la piena misura delle velocità stratosferica a cui si è mossa, in certi momenti, la storia del jazz. C’è un anno, e un mondo, tra lo Shorter di Art Blakey e questo, che ribalterà il quintetto di Davis, dandogli la sua forma perfetta e definitiva, secondo alcuni. Non me.

Wayne Shorter playlist
Miles Davis e il secondo quintetto con Shorter (Instagram @jazzz1881) – Boomerissimo.it

Che io non sia il massimo fan del grandissimo Miles l’ho anticipato in questo articolo .

Non sono però così cieco, sordo o pazzo da non capirne la grandezza, che in E.S.P. si sente ancor più che nei dischi successivi, secondo me. E si sente in ogni caso molto bene la grandezza di uno Shorter ulteriormente maturato. Anche il suo suono è più lucido e adulto.

It’s a Long Way Down (1966)

Esce nel 1966 ma è inciso nel 1964 questo grandioso album di addio di tutti a tutti. Art Blakey lascia la Blue Note, Wayne Shorter (e Cedar Walton e Reggie Workman) lasciano i Messengers e cercano altre strade, come mamma-Blakey ha sempre cercato di far succedere con i suoi pupilli.

L’ album è inciso mentre Shorter sta traslocando da Miles Davis. Si può discutere se il quintetto di Miles con Shorter sia stato il più grande di tutti, ma c’è poco da opporre alla semplice e ovvia verità che per i Jazz Messengers gli anni di Shorter siano stati i più favolosi della loro, peraltro luminosa e lunghissima, vita.

È interessante ascoltare di nuovo lo Shorter dei Messengers, dopo quello di Miles Davis. Torna il suono lacerante e graffiante, che cambierà da Davis (e che a me piace da impazzire).

Footprints (1966)

C’è un mio Wayne Shorter privato, che forse è un po’ diverso dal Wayne Shorter pubblico e universalmente celebrato. Footprints, invece, è di tutti: uno di quei pezzi che hanno segnato la carriera di questo genio assoluto, e che restano nella storia a rappresentarlo.

La versione che ho scelto io è quella incisa da leader in un momento in cui Shorter sta già lavorando con Davis, ma continua a essere se stesso e a produrre capolavori da leader, uno dopo l’altro. Dentro Footprints c’è tutto lo Shorter visionario e magico, che evolverà ulteriormente nei Report e nei suoi progetti che accarezzano la World Music. Footprints è talmente grandioso che anche Davis lo vorrà per se stesso e lo inciderà nell’album Miles Smiles, dell’anno dopo. Ma a me piace più questo.

Di questo album Mark Gardner scrisse su Jazz Journal: “For goodness sake don’t miss this one“. Che, cinquantacinque anni dopo, rimane un ottimo consiglio.

Adam’s Apple (1966)

L’album “Adam’s Apple” è talmente notevole che si becca una doppia citazione, con la title track: “Adam’s Apple”.

È una danza lisergica intorno al concetto del blues-funk, una specie di sigla di Shaft passata per il caledoscopio/tritacarne di Wayne Shorter. Se dovete ascoltare un solo pezzo di Wayne Shorter nella vita, secondo me dovete ascoltare questo. C’è tutto, e anche parecchio di più.

Tears (1971)

Prima o poi, in una playlist di Wayne Shorter, i Weather Report occorre metterli, ed eccoci.

È un Wayne Shorter quasi incorporeo, elettrificato, dejazzificato e passato al sax soprano. Per me sono tutti grandissimi “no”, ma Shorter riesce lo stesso a mettere insieme musica di fronte a cui devo togliermi il cappello, anche se la ascolto solo per completezza. È comunque uno dei più grandi pezzi di quella che diventerà la sua (lunga) stagione di fama più universale.

Joy Rider (1988)

Uno Shorter dei Report, ma ormai senza Report. Mi comprai questo disco, allora appena uscito, con uno dei primi stipendi.

Ed era un disco che profumava di quello scorcio di anni ’80, in modo totale. Miami Vice sotto steroidi shorteriani. Dopo essermi spruzzato di micidiali fragranze di Ted Lapidus, mi piaceva ascoltare questo Shorter appena inciso e sentirmi parte di questo incredibile mondo moderno e da bere.

Lo Shorter “vero” per me è sempre stato quello di venticinque anni prima, quando non ero ancora nato o al massimo mordevo il ciuccio. Ma anche questo non era male. Ascoltare questo disco resta divertente, anche adesso che è bello stagionato, come l’autore della temeraria recensione che avete appena letto.

Tirando le somme

I Wayne Shorter sono decisamente tanti. Anche solo dentro questa playlist, che pretende di raccontarne uno, è impossibile resistere al gioco di specchi di questo genio e illusionista, che è stato tutto restando sempre se stesso.

Wayne Shorter – Boomerissimo.it

Se lo conoscete bene e siete d’accordo o in disaccordo con quello che vi abbiamo presentato, magari ce lo direte. Se volete cominciare un viaggio, questo è il mio discutibile punto di partenza personale. Dategli un orecchio. Non è mai tempo perso quello che si passa ascoltando Wayne Shorter.

Antonio Pintér

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Comments (

5

)

  1. Wayne Shorter non dimentica, qualcun altro invece sì – Boomerissimo

    […] e familiare, profondissima e popolare. Bop, hard Bop, Jazz d’avanguardia, Rock. Wayne Shorter ha frequentato e cambiato tutto, senza lasciare dietro di sé nulla che fosse come […]

  2. Fa minore

    Condiviso il post per ascoltare con calma (mannaggia, ma dove sta ‘sta calma???) 🙂

    1. Antonio Pintér

      Poi dicci se ti è piaciuto quello che ho scelto. Non è proprio quello che si sente sempre quando di questi tempi si sente Shorter (imho molto più bello… comunque di Shorter mediocre non credo ce ne sia, anche in quello che piace meno a me…)

  3. Dexter Gordon e Louis Armstrong: un’amicizia mai andata in fumo – Boomerissimo

    […] un corposo aumento di paga. Dexter gli spiegò che non era quella la questione. Da Eckstine c’era Art Blakey, c’era Dizzy Gillespie. Erano giovani, adesso dovevano suonare la loro […]

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