Era bella, era nuova, era diversa, ma non era una macchina per tutti, evidentemente non per me.
Chi legge Boomerissimo sa che di tanto in tanto infarciamo le nostre pagine con ricordi personali, che altro non sono se non un pretesto per parlare di qualcosa o di qualcuno che ci ha colpito, positivamente o negativamente nei nostri anni “ruggenti”.
La sottoscritta ha ruggito poco, miagolato mai, soffiato sempre, da buon felino ferino.
Le auto le ho sempre amate, forse perché le ho avute tardi, ma le ho sempre sognate, apprezzate e desiderate ed una di queste è stata la Peugeot 205.
L’incontro
Al compimento dei fatidici diciotto anni i miei genitori non mi hanno regalato l’auto, anzi a pensare bene mi hanno regalato una beata. Abbiamo fatto festa, lasagna, pastarelle e tanti auguri. Non era costume della mia famiglia celebrare in pompa magna eventi di calendario, a parte che i conquibus erano quelli che erano, ma si dava un peso relativo agli eventi del calendario.
Non era un male, tutt’altro, tra le cose fisiologiche che si imputano ai genitori, questa io non la metterei, l’avermi mandato a scuola dalle suore sì.
Vivevo però nel mondo ed altri, parenti e amici ottenevano, senza colpo ferire, allo scoccare del calendario regali di un certo pregio.
In quei giorni (no, non è una parabola, non ho nulla da insegnare), mia migliore amica era una fanciulla mia coeva dalla quale mi divideva una congrua disponibilità economica. Non che me lo facesse pesare, anzi mi rendeva lieta dandomi i suoi abiti smessi, griffati of course, invitandomi a casa sua in cui bisognava camminare in punta di piedi. Molte volte sono stata bonariamente ripresa per il mio abbigliamento, per i miei accessori belli ma non di valore, per i tacchi delle mie scarpe che lasciavano tracce sul marmo incerato e spostavano i tappeti.
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Io servivo a loro e loro servivano a me. A loro servivo per sentirsi migliori, mi aprivano le porte della loro casa, mi concedevano la loro condiscendenza, in un’ottica paternalistica e io cercavo di carpire e capire quanto più potevo di un mondo che non conoscevo.
Era un pattern non scritto, ma rigidamente codificato. Nel momento in cui diventavo di impiccio, non mi si riteneva all’altezza, venivo esclusa, o molto elegantemente mi veniva detto di andare.
E che c’entra la Peugeot?
C’entra, c’entra. La mia amica e la sua famiglia facevano parte di quelle persone che danno un valore monetario agli eventi del calendario. E se per la Cresima erano piovuti Rolex, per i diciotto anni era d’obbligo ricevere l’automobile, nuova di pacca e secondo precise specifiche.
La mia coeva, però, in questo era stata sfortunata. Aveva ricevuto in eredità dalla sorella maggiore di tre anni la sua francesissima Peugeot 205, la cilindrata non la ricordo, ma era color canna di fucile. La sorella l’aveva guidata una volta sola, appena presa la patente e aveva deciso che non si sarebbe mai più messa alla guida di una vettura.
Nuova, bella, splendente. A me sembrava la carrozza di Cenerentola. Fu deciso che io avrei accompagnato la mia compagna nei suoi giri cittadini per impratichirsi alla guida.
La 205 era una signora macchina. Pensata per combattere contro lo strapotere della Renault 5, la 205 era l’erede della 104. L’idea della casa di Sochaux era dare vita ad una vettura di gamma media, moderna, dal design accattivante, offerta in molte motorizzazioni, affidabile e con un prezzo che invogliasse all’acquisto.
La sua linea a due volumi con spigoli arrotondati conquistò tutti. Grintosa, con il muso aerodinamico era completamente diversa dalla auto degli anni Settanta.
Dal punto di vista meccanico era innovativa, montava sospensioni con supporti elastici, ammortizzatori idraulici telescopici, freni a disco anteriori e freni a tamburo posteriori. Era inoltre presente un servofreno a depressione. Per una vettura che ha debuttato nel 1983 era tanto.
Tante le motorizzazioni di quella prima serie, ma su tutte spiccava la GT, motore 1,4 da 80 CV, a cui sarebbe seguita l’invincibile versione da rally 205 T16.
Fu un successo incredibile, a tutt’oggi si contano oltre cinque milioni di esemplari venduti.
E la mia amica? La mia segreta speranza era che qualche volta la facesse guidare anche a me. Invece no. Mai. Ero sempre lì, sul sedile del passeggero a fare da “whipping boy”, “perché non mi hai detto del semaforo, della macchina che oltrepassava l’incrocio”, ecc. ecc. Insomma se lei non guidava bene la colpa era mia.
Una volta, tragicomica, eravamo andate al cinema. Avviate con congruo anticipo per trovare idoneo parcheggio (leggi: facile, con un lato libero, quindi a fine marciapiede, entrando di muso e mai in retro), torniamo e… un artista del parcheggio creativo aveva chiuso il lato che doveva rimanere libero. Stretta tra due auto, la mia amica non aveva idea di come uscire. Chiese a me di farlo? No! Mi impose di fermare un’auto che sopraggiungeva e di implorare il guidatore di mettersi al suo posto ed uscire…
Antonietta Terraglia (® boomerissimo.it)
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