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Frank Cannon

Frank Cannon e la sua macchina: un duro che amava la vita morbida

Perché abbiamo amato così tanto Cannon? Forse per l’irresistibile accoppiata uomo macchina. Un detective scorbutico e dal grilletto facile, che ama la vita comoda, tra una pistolettata e l’altra.

Ci sono serie che diventano cult, vengono riproposte all’infinito, creano fans club e sembrano avere intenzione di diventare eterne. Altre invece restano confinate ad uno spazio e ad un tempo ben preciso, una capsula che le racchiude e le rende forse più preziose.

Frank Cannon
Frank Cannon e la sua macchina (via @boduke70) Boomerissimo.it

Restano custodite nella memoria, non le vedremo mai con i nostri figli. È il caso di Cannon, una serie poliziesca che vedeva come protagonista un detective quanto mai improbabile nel mondo muscolarizzato e ipertonico di oggi: Frank Cannon, ovvero nella realtà William Conrad. La sua stazza più che imponente ci impedisce di dargli un’ altezza esatta: sullo schermo si sarebbe definito basso e grasso. Chissà poi se basso lo era davvero: la Tv in queste cose può ingannare molto.

Ma perché Cannon ci piaceva così tanto?

In quella TV dei primissimi anni ’80 italiani, agli occhi di un adolescente, o quantomeno ai miei, Cannon rappresentava un eroe quasi ideale. Viveva da solo per una ragione drammatica: l’omicidio brutale della sua famiglia, quando era ancora poliziotto. Ma allora non lo sapevo: avevo sicuramente perso il “pilota”. Ad ogni modo Cannon, aveva scelto di lasciare il L.A. Police Department ed era diventato investigatore privato.

Frank Cannon / WIlliam Conrad
Frank Cannon, ovvero William Conrad (Instagram @frankdeanardo) Boomerissimo.it

Viveva per conto suo e questo era sicuramente un miraggio per qualcuno come me che invece era ancora costretto nella gabbia di una famiglia sicuramene amorevole ma anche decisamente rompiballe, che ho mollato piuttosto presto, come si dice in questi casi “di comune accordo”. Secondo loro, il rompiballe, infatti, ero io.

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Comunque sia, Cannon era fantastico. Viveva ai piani alti di un qualche edificio di quelli decisamente americani e aveva un gusto per le cose belle e moderne. Si cucinava a casa delle gran bistecche su una cucina futuribile che mi faceva sgranare gli occhi. Last but not least, indifferenti alla sua corporatura piuttosto lontana da quella di Gianluca Vacchi (o forse proprio per questo, chi le capisce le donne…) numerose ex (?) fidanzate ronzavano intorno al ruvido investigatore, che sembrava giovarsi della loro compagnia quando non era troppo occupato a risolvere un caso o a guidare la sua macchina . Le due cose erano piuttosto sovrapponibili giacché gran parte delle investigazioni di Cannon si svolgeva così: lui inseguiva qualcuno col suo macchinone, rischiando di scassarlo tra cordoli di marciapiede o cespugli di deserto, oppure qualcuno inseguiva il suo macchinone, sparandogli.

Il macchinone di Cannon

Già, il macchinone di Cannon era assolutamente inseparabile da Cannon stesso, dal punto di vista simbolico. Era enorme ma non era una macchina speciale. Non era una creazione degli sceneggiatori, come quelle di Hazzard o persino come la Ferrari 308 di Magnum. Era una “normale” megamacchina di quelle che allora negli anni ’70 stavano sullo sfondo di film e telefilm. Non erano oggetti simbolici, per gli americani. Erano qualcosa come sarebbe stata da noi la Fiat 130 o la Ford Granada. Roba grossa, anche costosa. Ma nel suo grosso e costoso, piuttosto “ordinaria”.

Lincoln Continental Mk IV, gli interni – Boomerissimo.it

L’ordinarietà della Lincoln Continental Mark IV era comunque notevole, visto che il V8 sotto il cofano era in grado di spingere i 2400 kg di lamiere metallizzate, pelle bianca e aggeggi elettrici fino a 190 km/h. Velocità da arresto immediato sulle autostrade a stelle e strisce. Forse meno in Italia (specialmente a quei tempi), se quell’incrociatore avesse trovato una strada abbastanza larga per circolare.

Frank Cannon telefono
L’auto di Cannon era anche equipaggiata di telefono, una rarità che lo salvò più di una volta | Boomerissimo.it

La Lincoln era inseparabile da Cannon: se la portava in giro come qualcosa di assolutamente indispensabile, ma senza menarsela troppo. La pazzesca ciabattona azzurra rollava e beccheggiava in modo temibile quando l’inseguimento si scaldava e diventava un susseguirsi di sterzate violente, inversioni a U, salti tra bidoni, sterrati. Quella Lincoln era casa sua, era il suo bisogno di morbidezza e di confort, una vera necessità, in una vita dura e piena di pericoli, che andava ammortizzata. E per questo la Lincoln era piena di accessori meravigliosi, come il telefono, accessorio allora incredibile, che in più di una occasione si rivelò salvavita.

Insomma quella macchina, che per corporatura pareva l’opposto del suo proprietario, era il morbido mondo di quell’uomo indurito dalla avversità. Era come i drink che Cannon sapeva preparare nel suo attico, come il cibo di classe (ma anche di sostanza) che il detective amava. Come la pipa, che fumò nelle prime stagioni. Forse anche come le procaci ex fidanzate. E poi quando si trattava di sparare, quella specie di transatlantico era il punto di appoggio ideale. Cannon faceva fuoco da sopra il tetto con il suo revolver da detective a canna corta, mentre la montagna di acciaio assorbiva i colpi nemici e lo riparava, come un mezzo corazzato.

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Era una bella serie, Cannon. Più divertente, più vera e più interessante di tante altre che sapevano di fumetto. Non che Cannon avesse nulla del neorealismo, per carità. Ma diceva qualcosa che le mie antenne di allora sapevano cogliere. Sapeva di una vita difficile ma affascinante, indipendente. Pericolosa ma confortevole. Soprattutto, una vita di questo mondo, come quel transatlantico azzurro. Non era un vascello delle favole. Era solo la macchina che un giorno mi sarebbe dannatamente piaciuto avere, insieme a tutto il resto,

Magari senza proiettili che fischiavano intorno.

Antonio Pintér

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