Due uomini agli antipodi, uniti da un atto di eroismo, divisi da un Rolex maledetto. Per farli tornare insieme c’è voluta un’idea veramente idiota.
Ci sono piloti che amiamo per i loro risultati, leggende dalla bacheca piena di campionati del mondo. E poi ci sono i cavalli pazzi, che hanno lasciato il segno per la loro personalità e per la loro voglia di combattere, senza arrendersi mai.
Nessuno definisce questa categoria meglio di Arturo Merzario, il cowboy della Formula 1. Un ragazzo bruciato dalla voglia di correre, che sognava la patente quando gli altri ancora arrancavano sulla prima biciclettina. Galeotto fu il primo camioncino di legno, un giocattolo primitivo in cui il piccolo Arturo, classe 1943, vedeva già la Formula 1. Non si è fermato finché non è riuscito a guidarne una, e per la verità non si è fermato nemmeno dopo.
La sua ultima vittoria l’ha conseguita a quasi settant’anni a Imola, nel 2012, in un trofeo monomarca Lotus, guidando in testa dal primo all’ultimo metro con l’entusiasmo di un ragazzino e l’esperienza della vecchia guardia. Gente che ha cominciato a gareggiare quando l’elettronica non era ancora stata inventata e avere il “manico” era l’unico modo per arrivare davanti, o quantomeno salvarsi la pelle in uno sport sempre in bilico tra il trionfo e la morte.
Salvare la vita a un grandissimo str…
Se Arturo Merzario è stato un pilota di grande passione, continua emozione ma risultati, diciamo così, episodici, l’esatto contrario è Niki Lauda. Un computer umano, quando i computer sulle macchine erano ancora di là da venire, un pilota che ha vinto tutto quello che era umanamente possibilmente vincere. Il mostro che tutti volevano perché non sbagliava mai nulla. Almeno fino al primo agosto del 1976: Il giorno in cui proprio Merzario vide Lauda, il computer, sbagliare l’ingresso di una curva al Bergwerk, e schiantarsi: un incidente che rimarrà per sempre negli occhi di ogni appassionato di Formula 1.
Tutti hanno sempre immaginato un fallimento meccanico, il cedimento di una sospensione. Impossibile pensare a un errore del pilota. Ma Merzario era dietro, a poche decine di metri, alla guida della sua scorbutica March FW05. Non è uomo con peli sulla lingua, e tantomeno se si parla di Lauda.
In pochi secondi il rottame incendiato della Ferrari 312 T2 di Lauda fu centrato da altre due macchine. I piloti riuscirono a schizzare fuori dagli abitacoli, ma in stato di shock e fradici di adrenalina potevano solo fuggire. A fermarsi per prestare soccorso fu Merzario. Un pilota che Lauda non aveva mai considerato suo pari, e che da parte sua detestava cordialmente l’austriaco, anche più di quanto lo detestassero gli altri colleghi del Circus. Poco importava. Merzario con i suoi 60 chili scarsi si gettò nel fuoco. Lauda era quasi incosciente, senza più casco. Stava bruciando vivo e respirando il fumo dell’incendio. Dopo due o tre tentativi, rischiando di andare a fuoco pure lui, Merzario riuscì ad estrarre dal rottame in fiamme quel corpo incosciente. Gli salvò la vita. Ma Niki Lauda era Niki Lauda, e Merzario era Merzario. Il momento drammatico ed eroico non bastò a farli diventare amici, e nemmeno semplici conoscenti.
Il Rolex della discordia
41 giorni dopo, Lauda, con un feroce sforzo di volontà riuscì a tornare in pista. Un miracolo che aveva molti autori: i medici, l’eroismo con cui l’austriaco si era sottoposto ad una riabilitazione dolorosissima. Non ultimo tra gli autori c’era quell’ Arturo Merzario che gli aveva salvato la pelle al rischio della propria. Ma quando i due si incrociarono ai box del GP d’Italia, Lauda passò oltre, senza nemmeno salutare il cowboy di Civenna. Lauda era rimasto Lauda e Merzario Merzario, ma stavolta un Merzario ancora più inferocito con l’austriaco.
Una settimana dopo i due si incontrarono di nuovo sulla pista di casa di Niki, quella di Salisburgo, ai margini di una corsa per vetture sport. Fu la goccia che fece traboccare un vaso già stracolmo.
Stavolta Lauda non fece finta di ignorare l’italiano: in quella piccola competizione sarebbe stato impossibile. Al contrario, gli si avvicinò, si sfilò dal polso il Rolex Daydate d’oro e glielo porse. Se l’intenzione era quella di fare di tutto ciò un gesto di riconciliazione, non funzionò.
A Merzario quella specie di elemosina senza parole e senza cuore, non interessava. In più sapeva che quel Rolex, pur essendo un orologio prezioso e costoso, per Lauda non contava niente. L’aveva vinto a una corsa pochi mesi prima. Era un regaluccio di secondo polso. Una di quelle mance che si passano a un servo parlando d’altro.
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Merzario non lo accettò, lo scaraventò via, con un gesto che fece tremare i meccanici e la diplomazia delle corse. Mentre il pilota italiano se ne andava schifato, un meccanico corse a recuperare il Rolex volante, che nemmeno Lauda voleva più. L’orologio fu affidato al team Manager Carlo Chiti, che decise di custodirlo fino al giorno in cui tra i due fosse scoppiata la pace. E lì rimase per decenni.
L’idea idiota che li ha fatti tornare amici
30 anni di odio hanno separato Lauda e il suo salvatore, decenni nei quali i due si sono evitati, non hanno parlato, hanno commentato gli eventi che li riguardavano solo con qualche grugnito.
Rimetterli insieme sembrava impossibile per tutti. Ma non lo è stato per Bernie Ecclestone, un uomo che ha amato il suo circo quasi quanto i quattrini che ci ha guadagnato. 30 anni dopo l’incidente, una rievocazione viene organizzata al Nurburgring. Merzario non può fare a meno di partecipare, anche se l’evento non gli ricorda nulla di buono e l’idea di incontrare Lauda di nuovo gli sorride ancora meno. Mentre l’evento prende il via, in mezzo al solito caos di troupe televisive, Ecclestone carica Merzario sulla sua Mercedes, sembra volerlo mettere in salvo. Invece lo porta esattamente sul luogo dell’incidente, quel punto del Bergwerk in cui 30 anni prima ha estratto Lauda dal fuoco. Quando ferma la macchina mette in mano all’italiano un oggetto sconcertante.
La risata in cui scoppia Bernie Ecclestone è il miracolo che improvvisamente seppellisce decenni di odio. L’idea è talmente idiota che riesce a far tornare il sorriso sulla bocca di tutti, compresi i due arcigni protagonisti della faida. Con uno di quei miracoli che di solito succedono solo nei film, i due diventano amici. “Ho continuato a chiamarlo stronzo e lui mi mandava whatsapp firmandosi “Il tuo amico stronzo”. Sono rimasti Lauda e Merzario. Ma stavolta da amici.
E il Rolex volante?
L’happy end è commovente. Ma che ne sarà stato dell’orologio, miracolosamente salvato, di cui Merzario non ha più voluto sentire parlare? In questo caso l’epilogo è stato più difficile. Benché l’abbia alla fine accettato, l’orologio non è apparso pressoché mai al polso del pilota comasco, per una serie di ragioni che sono state articolate in vari modi. Ma in definitiva perché per gli orologi è difficile ridere, e scacciare le vecchie maledizioni.
Merzario, che ci risulti, quell’orologio l’ha indossato una volta sola e non troppo volentieri per una intervista, quando aveva ormai 74 anni. Ci si è fatto anche fotografare al volante.
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Poi, a microfoni spenti, lo splendido Rolex è tornato nella borsetta della moglie, e da lì nel cassetto che lo custodisce, da quel giorno in cui un orecchio di plastica ha fatto un mezzo miracolo. Ma non proprio tutto.
Antonio Pintér – copyright Boomerissimo.it®
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