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Muhammad Alì troppo nero mondo bianco

Muhammad Alì: troppo nero per un mondo così bianco

Oggi consideriamo normale che un atleta sia impegnato in cause civili e politiche. Ma non era così prima che Muhammad Alì scoprissse di essere molto nero in un mondo troppo bianco. Un mondo che fu il suo avversario più pericoloso. E che gli avrebbe inflitto il KO più duro della sua carriera.

“Non ho niente contro i vietcong. Loro non mi hanno mai chiamato nigger”

– – Mohammad Alì, 1967

Può darsi che abbiamo esagerato. Può darsi che l’indignazione permanente di tutti contro tutti stia finendo davvero per trasformare lo sport in un litigioso social di dispetti, bannate incrociate, querelle talvolta persino incomprensibili ai più.

Muhammad Alì, prima della rivincita con Frazier – Boomerissimo.it

Eppure ci aspettiamo che uno sportivo, un personaggio pubblico, un modello per i giovani (e non solo) si ribelli e prende posizione quando deve per esempio giocare un mondiale in un paese razzista, omofobo e discriminatorio. E ci sorprendiamo, o meglio ci indigniamo (per restare in tema) quando non lo fa.

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Tutto questo ha avuto un inizio, un simbolo e un responsabile. Tutto questo non sarebbe mai esistito se Mohammed Alì non avesse un giorno gettato alle ortiche il suo nome di “schiavo” e se non avesse deciso di diventare un simbolo della militanza e dell’uguaglianza razziale. Tutto questo non sarebbe mai successo se Mohammed Alì non avesse stracciato la cartolina-precetto che lo destinava al Vietnam e non avesse rifiutato di combattere quella guerra di bianchi.

“Il più grande”: un pugile che ha cambiato il mondo

Quando Mohammed Alì riceve la chiamata, nel 1967, è il campione mondiale dei pesi massimi. Un atleta che ha vinto a sorpresa contro il duro picchiatore Sonny Liston, e l’ha battuto anche nella rivincita. Al momento dell’incontro che lo coronerà campione, quel ragazzo non arriva dal nulla, è un campione olimpico. Ma nessuno pensa che quel pugile agile e spettacolare, che non è un ragazzo ignorante e timido che lascia parlare i suoi manager, ma un protagonista che fa spettacolo e audience anche fuori dal ring, riuscirà a scalfire un campione della durezza di Liston. E invece…

Muhammad Alì si allena in piscina a Miami – Boomerissimo.it

Alì (che allora si chiama ancora Cassius Clay, con lo stesso nome di suo padre) è eccessivo, arrogante, provocatorio. Porta nel boxe la guasconeria del wrestling. E porta sul ring una miscela esplosiva di spettacolo, carattere, protagonismo, talento spettacolare, pugilistico. Oltre a una durissima disciplina atletica e sportiva. Pochi se lo aspettano prima dell’incontro ma tutti lo capiscono quando Liston abbandona sconfitto il ring: quel pugile è arrivato per cambiare il mondo del pugilato e dopo di lui niente sarà prima più come prima.

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Non cambierà solo il mondo del pugilato: due giorni dopo la vittoria mondiale Clay diventa Mohammed Alì. Abbraccia, come si dice oggi, l’Islam radicale e scende in campo a difesa dei diritti civili, nel modo più estremo e militante. Si getta a capofitto nella lotta politica. Raccoglie intorno a sé i grandi atleti di colore, quando arriva il richiamo a partire per il Vietnam, Alì rifiuta di farlo. Non è la sua guerra. Non è la guerra della sua gente.

Al tappeto per 3 anni

Alì ha pagato per questa lotta quanto nessun atleta ha mai pagato prima, o dopo (quantomeno in uno stato democratico). Ha perso il suo titolo, è stato addirittura bannato dalla boxe, ha perso soldi. Soprattutto, durante la lunga lotta legale che lo avrebbe riportato sul ring, ha perso i tre anni migliori della sua carriera, dai 25 ai 28 anni.

Alì Sonny Liston
Alì – Sonny Liston: l’immagine simbolo della vittoria – Boomerissimo.it

Quandò tornò sul ring per battere Foreman e prendersi il titolo, era il 1974. Il più grande pugile che abbia mai calcato un ring (o quanto meno il più ammirato e il più premiato, in una parola “il più grande”) era già nella fase terminale della sua carriera. Un tramonto luminoso e splendido, ma pur sempre un tramonto. Non è eccessivo dire che nella sua battaglia ideale, Mohammed Alì ha messo in gioco tutta la sua vita, e l’ha in parte anche persa.

“Perché è tutto così bianco?”

Ci sono stati grandi atleti neri prima di Alì. Ma nella storia di una società fondata da bianchi, con il potere in mano ai bianchi, chiunque fosse nero per avere accesso, e successo, al di fuori dello spettacolo o sport di genere (nero), aveva la necessità di smussare gli angoli, di essere un nero sì, non necessariamente ossequioso, ma non conflittuale. Un nero “confortevole”.

Alì contro Patterson, 1965 – Boomerissimo.it

È questo quieto vivere che Alì decise di spezzare, scendendo in campo come un nero militante e certamente non confortevole. Un nero che riconosceva nel mondo in cui viveva un potente pregiudizio in favore dei bianchi, e contrario ai neri. Tollerati, sì, ma inferiori e perennemente sospettati. Persino carichi di simbologie negative, che Alì racconta con la sua consueta verve in questa intervista televisiva del 1971, nei mesi in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti stava annullando la sua condanna.

Dice Alì:

Chiedevo a mia mamma: “Mamma, ma come mai tutto è così bianco? Perché Gesù è bianco? Perché i suoi commensali dell’ultima cena sono tutti bianchi?

Gli angeli sono bianchi, il Papa è bianco. Le chiedevo: “Mamma quando moriamo andiamo in Paradiso?” E lei rispondeva “Nauralmente andiamo in Paradiso”. ” E allora cos’è successo a tutti gli angeli neri, quando hanno fatto i disegni?”

E il cibo degli angeli era la torta bianca, mentre quello del diavolo era la torta di cioccolato.

Mi sono sempre domandato… Il Presidente vive alla Casa Bianca, e Maria aveva un agnellino bianco, le sue zampe erano bianche come la neve. E c’era Biancaneve, e tutto era bianco. Babbo Natale era bianco”

E tutte quello che c’era di cattivo era nero: il brutto anatroccolo era nera. E i gatti neri che portano sfortuna. E se ti ricatto è blackmail. Allora domandavo: “Mamma perché non la chiamano whitemail, anche loro raccontano bugie!”

— Mohammed Alì, intevista TV, 1971
Perché tutto è così bianco? – Boomerissimo.it

Sì, c’era qualcosa di molto sbagliato. E Mohammed Alì poteva vincere e vincere sul ring. Poteva entrare nella Boxing Hall of Fame, poteva essere nominato Sportsman of the Century e Miglior peso massimo di sempre.

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Poteva danzare come una farfalla e colpire, battere tutti i pugili più grandi che il ring conoscesse, fino a diventare The Greatest, il più grande. Ma quel mondo tutto bianco era più forte persino di lui, che pure vantava anche origini irlandesi. Ci sarebbero voluti tre anni di processi e sette lunghi anni di attesa e tutta la sua rabbia per riprendersi un titolo che era già suo. A Kinshasa, nel 1974, contro George Foreman.

Antonio Pintér – Copyright Boomerissimo.it

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Comments (

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  2. George Foreman, quella sconfitta che l’ha reso più grande – Boomerissimo

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